ORLANDO

OrlandoFurioso GustavDoreOrlando è rock.
Quarantatré anni dopo, il primo album del Banco del Mutuo Soccorso evoca innanzitutto due ricordi: la copertina a forma di salvadanaio e l’introduzione ariostesca di In viaggio, quel galoppo alato sull’ippogrifo di Astolfo «entro il cratere ove gorgoglia il tempo» che rivelò al mondo la forza evocativa della voce di Francesco Di Giacomo. «Da qui messere si domina la valle…» recitava il cantante orientando il rock letterario della band verso le ottave “d’oro” del poeta reggiano. Ed è proprio col pensiero a quegli anni pioneristici del “prog” italiano – e all’amico scomparso nell’inverno del 2014 – che il compositore e pianista Vittorio Nocenzi sta ultimando la scrittura di un’opera rock sulle gesta del paladino di Roncisvalle. «Più che la chiusura di un cerchio, vedo in questo progetto il moltiplicarsi dei cerchi della vita che percorrono i pensieri, l’anima, lo spazio e il tempo», anticipa. «Non intendo, infatti, il mio Orlando come la fine di un capitolo, quanto piuttosto il presupposto per ripartire da una stagione che è stata magica per il Banco e per il suo pubblico. Una celebrazione dell’utopia con al centro il Mediterraneo, inteso come teatro di migrazioni, di condivisione e di confronto tra cristiani e saraceni – raccontati dall’Ariosto mettendo in primo piano i sentimenti, il coraggio, la passione, la pietà – per ribadire che non esiste fanatismo capace di cancellare il principio che siamo tutti esseri umani a prescindere. E se quando avevo vent’anni l’Orlando Furioso rappresentava lo sprone per mettere le chitarre al servizio di una memoria rinascimentale, a sessanta è l’idea di un Mediterraneo inteso come porta d’Oriente e d’Occidente a spingere questa rivisitazione; Astolfo frequenta assieme a Sansonetto la Giostra di Damasco, approda ad Alessandria, vola sull’Ippogrifo in Etiopia; ecco perché pure in questa rielaborazione del più grande poema cavalleresco italiano ho voluto tanta Africa, tanti colori e tante vocalità etniche.
L’idea mi è venuta davanti a una quindicina di testi sull’Orlando composti da mio figlio Michelangelo, oggi venticinquenne. Li feci ascoltare a Di Giacomo, che concordò subito sul proposito di trasformarli nell’ossatura di un’opera rock. Finora ho registrato una cinquantina di minuti di musica, ma c’è ancora tanto da fare a livello di orchestrazioni, arrangiamenti, aggiustamenti lirici. Ecco perché penso che ci vorrà ancora un anno di gestazione.